Nel cuore della scuola
PAROLE IN LIBERTÀ
Ilaria Celani
12/12/20252 min read
NEL CUORE DELLA SCUOLA.
Ci sono momenti, nella scuola, in cui tutto tace.
L’aula è vuota, il sole filtra obliquo dalle finestre, le sedie sono ancora un po’ spostate, come se conservassero l’eco invisibile dei corpi che le hanno occupate. È in quei momenti che sento più chiaramente chi sono.
Perché è strano, quasi inspiegabile, come certe vite trovino il loro asse di rotazione proprio qui: tra una porta che sbatte, un registro da aggiornare e un ragazzo che ti guarda come se stessi per offrirgli una chiave antica.
Io il mio asse l’ho trovato qui. E più passa il tempo, più mi accorgo che non potrei essere altrove. Sento spesso dire che insegnare è un mestiere. Io credo che sia un destino. Un richiamo sottile, quasi impercettibile, che a volte si fa percepire nella stanchezza serale, altre nella gioia improvvisa di un gesto spontaneo, altre ancora in quella sensazione di completezza che nessun altro luogo riesce a darmi. I miei alunni non lo sanno, ma abitano una parte profonda della mia vita. Li guardo crescere, con le loro fragilità, i loro entusiasmi, le loro ombre, e qualcosa dentro di me si muove, come un nodo che si scioglie o un sorriso che affiora senza che io lo abbia scelto. I miei alunni, col tempo, diventano qualcosa di più degli studenti che ho davanti ogni mattina.
Non sono miei figli, no, ma in qualche modo somigliano a tanti nipoti: li guardo crescere abbastanza da affezionarmi, ma restando sempre un passo indietro, come chi sa che il suo compito non è trattenerli, ma incoraggiarli a spiccare il volo. Ogni loro conquista diventa un po’ anche la mia; ogni loro fatica, un pensiero che mi porto addosso. E quando torno a casa, la scuola mi segue in forma di pensiero. A volte è un volto che ritorna alla mente, a volte una frase che non sono riuscito a spiegare come volevo, a volte un dolore silenzioso che ho intravisto e che non so come sfiorare senza far male. Altre volte è la semplice, inspiegabile nostalgia di quelle voci, anche quando le ho udite fino allo sfinimento. Qualcuno potrebbe dire che ho lasciato che l’istruzione diventasse l’unico scopo della mia vita. Forse è vero. Ma non lo vivo come una rinuncia: lo vivo come una pienezza. Come se ogni pagina che apro, ogni dubbio che accolgo, ogni ragazzo che impara a guardare il mondo con occhi nuovi, fosse un frammento di qualcosa di più grande di me. In certe notti mi chiedo se, un giorno, rimpiangerò questa dedizione totale. E ogni volta la risposta arriva in modo semplice: no. Perché quando entro in un’aula, quando percorro il corridoio e riconosco le voci, quando incrocio uno sguardo che si illumina...in quel preciso istante ricordo che non potrei essere altrove. Io appartengo a questo spazio. A questa missione silenziosa. A queste vite che si sfiorano appena, ma abbastanza da cambiare la mia. E forse la bellezza più autentica è proprio questa: sentire che il mio posto nel mondo non è un luogo, ma un gesto quotidiano. Una mano che indica, una parola che rassicura, una porta che si apre ogni mattina, verso gli altri, e verso me stesso.